Il 25 marzo è il Dantedì
Il 25 marzo è la Giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri. Era il 25 marzo del 1300 quando probabilmente Dante iniziava il suo viaggio nella Divina Commedia, “smarrendosi” nella selva oscura.
Per questo motivo il 25 marzo, dal 2020 è diventato il Dantedì, Giornata nazionale in memoria del Sommo Poeta, giornata istituita dal ministro della Cultura Dario Franceschini.
In occasione di questa ricorrenza, vediamo insieme queste espressioni della lingua italiana inventate da Dante Alighieri. Lo sapevi che molti modi di dire arrivano proprio da Dante?
Ecco alcuni modi di dire inventati da Dante e che sono presenti nella sua Divina Commedia e che usiamo ancora oggi! Molto spesso le usiamo senza sapere che sono state inventate proprio dal padre della lingua italiana!
“Stai fresco! Stiamo freschi!”
Quest’ espressione viene usata quando vuoi dire : “Allora finisce male” e proviene dalla parte più profonda dell’Inferno, il lago di Cocito, “un lago di ghiaccio” nel quale i peccatori venivano immersi del tutto o quasi (a seconda della gravità del loro peccato). Dopo Dante, per fortuna, l’espressione “Stiamo freschi” viene usata per situazioni meno tragiche!
“Il bel Paese”
Il Bel Paese: è un modo di dire poetico per definire l’Italia (bella per la sua gente, per la cultura, la cucina tradizionale e per il paesaggio). Nell’Inferno Dante descrive l’Italia come il “bel Paese là dove il sì suona”. Ancora oggi, ci riferiamo spesso all’Italia con quest’ espressione.
“Galeotto fu…”
“Galeotto fu il libro” è una delle espressioni più iconiche di tutta la Divina Commedia. Sintetizza al meglio la storia principale del canto V dell’Inferno dantesco, che narra l’impossibile storia d’amore tra i cognati Paolo e Francesca. Lei era infatti sposata con Gianciotto, fratello di Paolo. Galeotto era il personaggio che favorì l’amore tra Lancillotto e Ginevra. Nel Canto V Francesca racconta a Dante del suo amore per Paolo. In particolare gli racconta che si erano baciati per la prima volta durante la lettura di un romanzo cavalleresco in cui Ginevra, sposa di Artù, viene baciata da Lancillotto. “Galeotto fu il libro” vuol dire, quindi, che il libro ebbe la stessa funzione di Galeotto: cioè spinse i due amanti, Paolo e Francesca, l’uno nelle braccia dell’altro.
“Senza infamia e senza lode”
Molto spesso usiamo questo modo di dire per dire “Bravo, ma non bravissimo. Bene, ma non benissimo”. Senza infamia (non male), insomma, ma anche senza lode (non bravissimo). Oggi questo modo di dire ha un valore neutro. Per Dante (Inferno, III, 36) , invece, nell’Inferno era una cosa molto grave: il poeta usava quest’ espressione per descrivere gli ignavi, cioè tutti coloro che avevano vissuto la propria vita senza commettere gravi peccati, ma anche senza schierarsi mai da nessuna parte e senza avere il coraggio di prendersi le proprie responsabilità: per questo Dante li disprezza.
“Non mi tange”
Non mi tange significa non mi interessa affatto, non mi tocca, non mi riguarda. «Io son fatta da Dio, sua mercè, tale, che la vostra miseria non mi tange», scrive Dante ai versi 91-92 del Canto II dell’Inferno. È Beatrice che parla per rassicurare Virgilio del fatto che nulla di ciò che dovesse accadere all’Inferno potrà in alcun modo ferirla, perché lei è “fatta da Dio” e per questo le miserie umane non la toccano.
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(Credit foto testata blog+homepage: Giovanni Garattoni)